Sampietrino nessuno ti difende più

Sampietrino © ph Valentina Cinelli

Sampietrino nessuno ti difende più
Repubblica — 12 gennaio 1998 pagina 1 sezione: ROMA

NON è da piangere, ma piuttosto tutto da ridere. I sampietrini, anziché dalle cave (spente) della Casilina, vengono dalla Cina a tappezzare il tratto tranviario Casaletto-Centro. Ma si ritiene che la moda prenda piede in altre strade e piazze romane.
Un addio al sampietrino? No. Piuttosto l’ amara constatazione di una coscienza culturale che muore, di un patrimonio artigiano del selce che risale ai tempi delle bighe, sostituito dal calcolo ottuso della tecnica globalizzata. Chi difende questi valori cincischiati dalle tabelle di marcia in camice bianco? Non certamente, la Bella Addormentata della Colombo detta Regione Lazio, né tanto meno il Comune, nelle vesti sbilenche dell’ Atac che più ne fa e più ne sbaglia. Repubblica ha denunciato più volte il declino di tale patrimonio storico della città, appena resuscitato in casi sporadici dalla ripartizione ai Lavori pubblici in qualche pezzetto del centro, ma è stata voce clamante nel deserto. Spente sono le cave sette-ottocentesche di quegli uomini omerici provenienti da Alfedena (patria delle maestranze selciarole), ma quelle stesse cave perché non riattivarle? Le riserve della Vasca Navale potranno servire ancora ma per poco, e poi addio sampietrino. I Nenni i Lugari, patriarchi di questo artigianato, sarebbero pronti a riaprire cantieri e scuole di addestramento professionale. Ci scriveva il Lugari con lettera dell’ 8 novembre 1995: “Per quanto riguarda il mantenimento delle tradizioni in qualità di consigliere del Centro Formazione Maestranze Edili proposi nel 1988 in occasione dei lavori per i Mondiali di Calcio un corso per “selciaroli” che naufragò pesantemente per l’ indifferenza degli amministratori locali di allora”. Indifferenza, quindi, nient’ altro che indifferenza che è la Madre di tutte le sconfitte culturali. E per esortare i “cittadini alle historie” come diceva quello, riprendiamo il discorso sul recupero di quello che c’ è rimasto. Anche perché riaprire cantieri di tale squisitezza edile-artigiana significherebbe dare lavoro a tanti giovani disoccupati, indirizzarli a un’ arte antica con una filologia alle spalle che risale ai basolati dell’ Appia. Ma per amor d’ iddio non fateci ridere con i dadarelli cinesi che per ironia del destino perfino la terra trasteverina si rifiuta di riceverli in grembo. – di DOMENICO PERTICA