Ricordi

Sampietrino © ph Valentina Cinelli

di Raffaele Morsella

Solo da poco tempo ho scoperto, con grande emozione, il sito “il sampietrino”, dedicato al “Sercio”, antico simbolo romano a me così caro, e allora voglio raccontare un po’ di memorie.

Sono nato a Testaccio 60 anni fa. Ho passato tanto tempo della mia infanzia e della mia prima adolescenza a giocare con i miei compagni sulle strade del mio quartiere, molte delle quali lastricate a sampietrini. Una superficie a noi poco gradita per giocare a pallone, anche se, nelle cadute, era più tollerante con le nostre povere ginocchia di quanto lo fossero le superfici asfaltate, specialmente quando, appena finite, erano ricoperte di dolorosissimo brecciolino che si infilava nelle abrasioni. Tra un’interminabile partita di pallone e una di calcio al barattolo amavo anche passare un po’ di tempo ad osservare i “serciaroli” risistemare le strade, periodicamente o in occasione dei lavori di “scasso”. Specialmente all’inizio della bella stagione i “serciaroli” lavoravano a torso nudo e cotti dal sole. C’era quello che con un ginocchio poggiato nella sabbia del fondo, protetto da pezzi di camera d’aria, inseriva i sampietrini come a formare un tessuto, uno ad uno, seguendo uno spago teso come guida; prima creava un piccolo cratere scalzando la sabbia con la penna del martello e vi inseriva il sampietrino, poi roteando rapidamente il martello dalla parte della testa batteva sul sampietrino, conficcandolo solo parzialmente. Era quel tipico tintinnio del martello a destare la mia attenzione e, come un richiamo, mi conduceva lì a guardare un po’ il loro lavoro. Poi l’altro, il “battiserci”, con il suo lento incedere ritmato dal tonfo del “mazzabbecco” di legno sul selcio, conficcava bene i sampietrini fino in fondo, formando una superficie perfetta, come oggi non se ne vedono più.
Adesso è un’altra cosa. La manutenzione è costosa e frettolosa e poi il “mazzabbecco” è di ferro, così rovina la testa dei sampietrini già prima del loro uso. Così le superfici sono molto sgradevoli sotto i piedi e si deformano subito sotto il peso e le vibrazioni dell’intenso traffico cittadino.

Vidi anche i sampietrini “volare”! Pochi giorni prima di lasciare le strade di Testaccio per andare a vivere a Monteverde, in un bel pomeriggio assolato, il 6 luglio 1960, avevo da poco compiuto i quattordici anni ed ero a giocare insieme ad alcuni compagni alle giostrine che periodicamente si stabilivano presso i “giardini delle poste” di via Marmorata. Ad un certo punto fummo distolti dal fragore di zoccoli di cavallo, alzammo lo sguardo e vedemmo schierarsi i carabinieri a cavallo dietro il palazzo delle poste e riconoscemmo il già famoso tenente Raimondo D’Inzeo. Pensavamo fosse una esercitazione, ma ad un tratto, da piazza Albania vedemmo avanzare una folla di manifestanti, i cavalli si mossero incontro a loro, sbucarono improvvisamente camionette della celere a sirene spiegate. In pochi istanti fu il finimondo: dimostranti caricati a sciabolate con la testa insanguinata; alcuni che, con bastoni strappati dalle staccionate, tentavano incerte difese, altri che divellevano sampietrini da lanciare contro i “celerini”; cavalieri che, colpiti, cadevano da cavallo; le cariche si susseguivano in una feroce bolgia ; un inferno! Noi, dopo una iniziale paralisi, ci disperdemmo. Io, tra la “fifa” e la curiosità, mi buttai sotto una panchina aspettando il momento buono per scappare, un cavallo saltò la mia panchina, mi rannicchiai ancora di più, poi, mentre il forte odore di lacrimogeni mi prendeva alla gola, piano piano guadagnai la salita di via Asinio Pollione, lasciandomi quell’inferno alle spalle. Attraversai l’Aventino e, scendendo da Clivo di Rocca Savella sul lungotevere, tornai verso casa in via Amerigo Vespucci, vicino a piazza dell’Emporio dove trovai i miei genitori preoccupatissimi e piangenti…, per i lacrimogeni che ormai avevano invaso l’intero quartiere. La battaglia proseguì fino a tarda notte con i dimostranti asserragliati nel mercato coperto di piazza Testaccio, con un pesante bilancio di feriti.
Forse deriva da quell’episodio la mia “ossessione” fotografica per i sampietrini… in disordine!

Provo sempre una grande nostalgia ogni volta che vedo qualche vecchio film ambientato a Roma: mi fa piacere ammirare le scene dove si intravedono i perfetti tessuti dei sampietrini, così ben allineati… per esempio come in quella in cui Alberto Sordi, in gonnellino a pieghe, vende bolle di sapone in piazza San Salvatore in Lauro, libera dal traffico che allora non esisteva!
Oggi lasciamolo vivere sereno, solo nelle isole pedonali e nelle piazze storiche, questo caldo rivestimento… per ammirarlo e non maledirlo!